Prefazione
di
Aleksandr Dugin
Dasha è diventata un simbolo. È
diventata un simbolo della Russia nella sua lotta per la sua libertà,
indipendenza e grandezza contro l’egemonia dell'Occidente
collettivo e liberale. È conosciuta, amata e studiata in Russia. Ed è
comprensibile: ha rivelato ai russi una dimensione cruciale – apparentemente
perduta – di loro
stessi. È un'eroina della Russia. Ma non un’eroina ordinaria, bensì con
un doppio fondo. Dopo tutto, è una pensatrice, Daria la Pensatrice, la Vergine
Filosofa.
Per altre nazioni e
culture Darya è
diventata anche un simbolo, come
Giovanna d’Arco o
Beatrice sono diventate un simbolo. Queste immagini della più alta femminilità
spirituale trascendente costituiscono il centro della cultura europea. Denis de
Rougemont, nel suo libro L’amore e l’Occidente, ha
osservato con acume che l’ideologia
dell’amore è il
codice della cultura europea occidentale. Ecco quindi il significato delle Vergini della Luce. Esse
costituiscono il principale alfabeto della gnosi europea.
Dasha, con la sua tragica morte
e la sua breve ma luminosa vita rivolta al cielo, è diventata un’altra
immagine di questa ideologia dell’Amore. Amare veramente,
ammirare, essere ispirati, superare i propri limiti in questo sentimento,
attraversare le galassie, non può che essere qualcosa per la figura lontana,
irraggiungibile. Dunque
morta. Julius Evola lo scrive ne *La metafisica del sesso*: l’amore
celeste è rivolto a ciò che vive fuori dal corpo. Ecco perché i versi di John
Donne ne *L’Anatomia del
Mondo*, sulla
morte di Elizabeth Drury, figlia del suo benefattore Sir Robert Drury of Hawsted (Suffolk), sono così
toccanti. La morte prematura della ragazza sconosciuta dal mondo che ha
strappato il cuore di suo padre, diventa l’immagine del destino del mondo,
il nucleo della catastrofe universale, tutti i nodi dell’universo si
riducono a lei, la sua morte
è la Morte in generale, la morte che tesse, intreccia l'essere in
una zolla.
Dasha – la sua
immagine, il suo volto, le sue parole, la sua musica – si è
rivelata un messaggio ancora più toccante. Non era solo una ragazza pura e innocente,
infinitamente cara al padre e alla madre, al fratello e ai parenti. È riuscita
a lasciare dietro di sé un pennacchio stellato che indica la strada verso l’altro lato
del Kali-yuga. La sua
morte è una sorta di giudizio. È la condanna finale di una metà dell'umanità,
che ha gongolato per la sua morte, e l’annuncio del prossimo trionfo e
della consolazione dell’altra metà,
che ha pianto e piange ancora lacrimevolmente ricordando Darya Dugina.
Non ha portato la pace, ma una spada, una divisione. Il mondo sta cadendo a
pezzi, si sta disintegrando, proprio come diceva John Donne; ma c’è chi
rimane fedele a un Dio che si dice morto, che si insegna che non esiste, a
prescindere da tutto. Bisogna credere in Dio anche se non esiste, la fede è
più importante di qualsiasi altra cosa. Dasha credeva in Dio, nello spirito,
nella tradizione e nell’eternità. E
non si è mai arresa. È per questo
che sempre più oggi coloro che credono in Darya stessa,
credono in lei – nelle sue
intuizioni, nelle sue parole, nella sua causa; e la sua causa era la Santa
Russia, l’Ortodossia
e la Tradizione, ma con
altrettanta tenerezza parlava anche della Grande Europa, la cui vocazione era
quella di liberarsi dalla degenerazione moderna e dall’abnegazione.
L’Italia e la
Francia, così come l’antica
Grecia, erano per lei la terra promessa, il luogo di nascita del pensiero
penetrante e della grande arte.
Dasha diventa una fonte di
ispirazione per i pensatori, i poeti e i filosofi di questa Europa
invisibile, quasi scomparsa dal piano fisico, ispira
anche le nuove generazioni e persino coloro che non l’hanno
conosciuta personalmente, ma che ora la riconoscono.
Vi è un certo paradosso. Alcuni
santi che per millenni sono stati onorati e ferocemente amati da intere nazioni
con fervore imperituro – San Nicola,
per esempio – durante la
loro vita hanno compiuto imprese non molto più grandi di quelle di altri santi, ma hanno
fatto così tanto dopo la loro scomparsa che nulla può essere paragonato a
questo. Il viaggio fondamentale dell’anima pura non finisce con la
morte, ma inizia solo allora.
Il libro di René-Henri
Manusardi è una testimonianza di quanto ho detto. I pensieri su Dasha, i versi
poetici a lei rivolti, le conclusioni filosofiche a cui lei ha ispirato l’autore, non
sono ripetizioni, sono puro impulso creativo. Questa è la creazione vera. L’autore è
ispirato dall’immagine
stessa di Darya, che come
una presenza sottile adombra le sue parole e le sue metafore. Vive
attraverso la sua vita. Ci parla, attraverso i suoi versi.
I fedeli dell’Amore sono
fedeli della Tradizione. Nell’immagine di
Dasha, le due vette coincidono, diventano una sola.
L’immortalità
non è un dato di fatto, dobbiamo crearla noi stessi, la nostra
immortalità e quella di coloro che amiamo, di coloro che sono più alti e
migliori che noi, di coloro che ci hanno
preceduto, di coloro che hanno dato la vita per noi.
La vera poesia è sempre una
preghiera, e la preghiera di tutto è
rivolta a ciò che vive. Vive per sempre.
Aleksandr Dugin
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